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TRA GLI STRASCICHI DEL LOCKDOWN ED I NODI D’AUTUNNO

Quanto è già accaduto in conseguenza della pandemia in Italia e nel mondo fa archiviare con largo anticipo il 2020 fra gli anni maledetti dell’era contemporanea. Oltre alle vittime, vi è stato uno stravolgimento totale del corso della vita ordinaria, con la limitazione delle libertà fondamentali dell’individuo, il blocco delle attività economiche e l’innesco di un nuovo avvitamento di una crisi che già stentava ad invertire la tendenza degli anni di una lunga crisi a “U”.

Se le contabilità dei macroindicatori economici sono giuste, in Italia per il secondo trimestre si registra un crollo del PIL del 17,3 %, si profila un terzo trimestre fermo al palo ed una performance dell’intero anno attestabile sul -14,3 %. Poco importa che a titolo consolatorio ci dicano che altri Paesi stiano un po’ peggio: in Italia, infatti, manca da anni una crescita che altri hanno avuto.

E siamo appena a due terzi dell’anno: si delinea per l’immediato futuro non solo la percezione dei danni reali, con la chiusura delle imprese che non ce la fanno a riaprire o a superare le difficoltà, con la perdita definitiva di posto di lavoro, ma anche l’assoluta incertezza scientifico-sanitaria sulla evoluzione della pandemia, che si esprime nel continuo flusso di messaggi contradditori, pulsioni allarmistiche, totale indeterminatezza di quali misure possano essere adottate o, peggio ancora, ri-adottate. Un esempio su tutti, proprio per il suo emblematico valore di paradosso della più totale confusione: «per poter aprire di nuovo le scuole, bisogna chiudere le discoteche».

E venendo al nostro settore, si conferma la maledizione che sta caratterizzando il 2020. Se si guardano i dati delle vendite (aggiornate a maggio dal MiSE), i numeri di base sono drammatici: sullo stesso periodo del 2019, per i dati del progressivo gennaio-maggio – con il mese di marzo praticamente in regime di lockdown per due decadi, quello di aprile per la totalità e quello di maggio per un periodo parziale – le vendite complessive di benzina, gasolio e gpl (rete+extrarete) perdono 4.988,1 milioni di litri ed un 29,88 %, la rete in totale (ordinaria ed autostradale) per la somma di benzina, gasolio e gpl perde 2.898,4 milioni di litri ed un 31,05 %, mentre l’extrarete perde 2.089,7 milioni di litri ed un 28,41 %. Trascinandosi dietro, oltre all’effetto economico per le imprese grandi e piccole del settore, corrispondenti mancati introiti erariali di accise, IVA ed imposte dirette.

Per fare un paragone, neppure nell’intero anno 2012 (in dodici mesi, quindi, non in cinque come per il 2020) – pure classificabile come un “anno terribile” per effetto della crisi economica – si verificarono perdite di questa entità: in tutto l’anno, infatti, le vendite complessive di benzina, gasolio e gpl (rete+extrarete) persero 4.291,7 milioni di litri ed un 9,54 % sul precedente esercizio 2011, la rete in totale (ordinaria ed autostradale) per la somma di benzina, gasolio e gpl perse 3,228,6 milioni di litri ed un 10,32 %, mentre l’extrarete perse “solo” 1.063,1 milioni di litri ed un 7,74 %.

È questo lo strascico del lockdown, in uno scenario successivo che risente dell’incertezza del trend dei consumi declinanti, della crisi economica indetta dalla pandemia, del punto di domanda che incombe sugli sviluppi epidemiologici e sanitari possibili e sulle misure di contrasto adottabili.

In tutto questo contesto negativo, settembre sarà un mese di appuntamenti fitti per definire – salvo reviviscenza di emergenze sanitarie – il quadro delle relazioni economiche e commerciali tra aziende e gestori dopo i “tamponi” (termine quanto mai appropriato, visti i tempi di COVID-19) applicati con gli accordi “emergenziali” dei mesi più difficili della pandemia.  Primi fra tutti, i big della rete distributiva a marchio petrolifero: ENI, IP, Q8, ma non solo.

E dopo i primi preliminari incontri sul finire di luglio, sono già state fatte trapelare alcune, diciamo così, “indiscrezioni”.

I colleghi di altre associazioni, parlando di IP, definiscono “innovativo” uno schema di accordo che dovrebbe potersi concludere entro il mese di settembre e sul quale “si è cercato di apportare, ancora, qualche ulteriore, piccola correzione ad un testo che, a partire da un margine che torna ad essere unico ed indifferenziato, da elementi di trasparenza della gestione contabile/amministrativa e da tutta una serie di miglioramenti strutturali, è in larghissima parte condiviso”, e per il quale alla ripresa settembrina resterebbero ormai solo “da definire i dettagli della politica di incentivazione commerciale mentre sono già stati convenuti i termini generali (e di dettaglio) degli aspetti economici”.

E, nel caso di ENI, la medesima fonte definisce come “apprezzabili” i risultati del primo incontro interlocutorio, in particolare “l’adesione di Eni ed il suo impegno a promuovere e sostenere, a qualsiasi livello istituzionale e politico, una ristrutturazione della rete impellente e <imperativa>, abbandonando schemi di volontaria adesione”, e, ancora, la “piena condivisione alla lotta alla illegalità contrattuale anche mediante lo strumento del cosiddetto DURC (Documento Unico di Regolarità Contrattuale) necessario per il mantenimento dell’autorizzazione petrolifera” e, infine, un “impegno altresì a rendere concrete ed operative le prescrizioni sulle <iniziative urgenti in favore della distribuzione dei carburanti> contenute nella risoluzione De Toma, o ordine del giorno approvata alla unanimità dalla X Commissione della Camera il 4 dicembre 2019”. Mentre, per quanto riguarda il “sostegno economico alle gestioni almeno per i prossimi mesi del 2020 ancora in piena crisi emergenziale e sulla necessità di riformare e rinnovare l’Accordo del 19 dicembre 2014” ENI “si sarebbe riservata di prendere impegni”, indicando “per i primi giorni di settembre una ripresa concreta della contrattazione”.

Indiscrezioni a parte, non vi è dubbio alcuno sul fatto che è sulle componenti economiche (per ora o indefinite, o appena abbozzate) che si appunta l’attenzione di una categoria già in crisi da anni e ulteriormente piegata dalle vicende degli ultimi mesi, che è su questa componente essenziale alla giustificazione e sostenibilità economica della gestione che si potrà giudicare la bontà o meno di un accordo, dopo una lunga stagione di accordi “di solidarietà” od “emergenziali”.

Così come è evidente che proprio le vicende degli ultimi mesi non potranno non contrassegnare una partita economica condizionata dalla tendenza delle controparti a trarne un plausibile alibi per non rinegoziare la “sostanza” dei margini, rimettendola in gioco piuttosto sulle incentivazioni tra modalità di servizio, sulla ricerca di nicchie di servizi aggiuntivi replicabili (come non ve ne fossero già in abbondanza) sulla rete distributiva dei carburanti, sulla spinta, per fare un esempio, a migliorare il tasso di automobilisti al servito/ora, e via discorrendo.

Va pur detto che se è, purtroppo, vero che il lockdown si è tradotto in un bagno di sangue sulle vendite, è vero anche che gli effetti delle mancate vendite sotto il profilo dei margini delle aziende petrolifere sono stati meno devastanti di quanto ci si sarebbe potuto attendere, complici da un lato il crollo delle quotazioni del greggio e dei prodotti finiti e dall’altro il mantenimento di prezzi non propriamente in linea con i fondamentali di mercato: ciò ha consentito di sostenere i costi fissi della distribuzione anche a fronte di un mercato di consumi in caduta libera.

La centralità della componente economica, pertanto, è il metro di giudizio degli accordi che si andranno a trattare, certo più di quanto non lo siano gli aspetti legati alla ristrutturazione della rete (che non è la ristrutturazione del mercato o dei rapporti contrattuali e commerciali gestori-aziende), od alla stessa lotta all’illegalità fiscale. Entrambi questi aspetti non sanano la sostenibilità economica delle gestioni.

E quanto alla famosa risoluzione De Toma, va ricordato una volta di più che essa si è trasformata, rispetto ad un “energico” e dettagliato testo iniziale (quali degli originari contenuti, ad esempio, avrebbero necessità di attuazione? Quelli relativi alla tutela dei contratti tradizionali, quelli della sostenibilità economica e delle eque condizioni per competere o quelli, ancora, di nuovi contratti che affidino un ruolo imprenditoriale al gestore? Perché nulla di questi dettagli è rimasto nel testo definitivo), in una piuttosto generica petizione di principi generalisti, o quanto meno questo è il senso delle misure sulle quali viene richiesto “l’impegno” di Governo e Parlamento. Così come va ricordato che molta acqua sul fuoco di quella risoluzione è stata gettata esattamente dalle controparti del settore con cui si dovranno concertare i nuovi accordi.

Se questi “nodi autunnali” non verranno sciolti con coraggio, è probabile ci si trovi a concludere un ennesimo aggiustamento “di solidarietà” e, a causa delle vicende del “maledetto 2020”, si rimandi ancora chissà per quanto di affrontare le vere cause della crisi della categoria, per di più in un contesto in cui le scelte energetiche alternative fanno apparire questo settore più che maturo, ormai obsoleto.

Il Presidente Nazionale FIGISC

BRUNO BEARZI