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AUTOSTRADE: ESISTE UNA VIA D’USCITA?

Sui bandi autostradali – dopo la forzata sospensione biennale dovuta alla pandemia – e sulla revisione del Decreto Interministeriale del 7 agosto 2015 si è avviata una fase di consultazioni che coinvolgono, oltre agli operatori ed agli stakeholder, l’Autorità di regolazione dei trasporti, ed ovviamente i Ministeri competenti e l’Antitrust.

Che se ne parli e ci si consulti è certo buona cosa, ancorché ci siano prospettive ragionevoli che si abbia in evidenza che non si tratta affatto di applicare un restyling burocratico-amministrativo, quanto di affrontare una crisi del comparto assolutamente incancrenita.

Cominciamo dai numeri: nel 2021 le vendite di benzina e gasolio non hanno neppure raggiunto il miliardo di litri (0,995 per la precisione), con un recupero di quasi 21 punti percentuali sul 2020 (il disastroso “anno pandemico”), ma mantenendo una perdita di eguale consistenza sul 2019. Per non parlare degli anni antecedenti (-40 % sul 2015, -69 % sul 2010, -74 % sul 2005, -77 % sul 2000, anno in cui ancora si vendevano 4,3 miliardi di litri, e perfino -63 % sul lontano 1979, quando le vendite valevano 2,7 miliardi di litri). Conseguentemente, gli erogati medi per area di servizio sono caduti a 2,0 milioni di litri (nel 2020 andò peggio con meno di 1,7) dai 9,2 dell’anno 2000 (ma persino dai quasi 6 milioni del 1979); la stessa Autorità dei trasporti, nella sua Relazione – Schema di Impatto, riferisce che nel 2019 su 432 AdS, il 34,7 % presentava un erogato medio inferiore ai 2 milioni di litri, e ben l’11,3 % un erogato inferiore a 1 milione.

Per una grandezza significativa, si pensi che se nel 2000 si vendevano circa 6 litri, tra benzina e gasolio, per ogni 100 km di percorrenze veicoli sulla rete autostradale (stimate da Aiscat in 70.500 milioni di km nel 2000), nel 2021 (con stima Aiscat di 75.500 milioni di km) se ne sono venduti non più di 1,3.

Certo sia la lunga crisi economica iniziata nel 2008 ed i suoi riflessi sul traffico pesante, quanto la pandemia intervenuta quando si incominciava a vedere una limitata ripresa hanno determinato parte della crisi del comparto, ma è innegabile che altri fattori hanno causato lo sviamento degli utenti dai servizi autostradali (dinamiche dei pedaggi a parte), ossia il livello dei prezzi sia dell’oil che del non oil.

Livello dei prezzi che solo in parte è stato giustificato dall’incidenza dei maggiori costi di un servizio ed esercizio continuo, e molto da meccanismi di perversione del mercato generati dall’abuso delle royalty e delle politiche commerciali verso l’utenza, fattori che hanno fatto non solo crollare ogni appeal potenziale della rete, ma hanno indotto consapevoli comportamenti e scelte dell’utenza a rifuggire esattamente dal rifornirsi o ristorarsi in autostrada.

Sulla questione delle royalty ci furono – ai tempi successivi alla vicenda del Ponte Morandi – anche interrogazioni parlamentari che portarono dati (misurati in miliardi di euro su un arco temporale specifico) sull’effetto delle royalty sulle tasche dei consumatori. Tuttavia nulla ne seguì, perché il comparto autostradale è una sorta di “riserva extraterritoriale” in cui – da quando lo Stato se ne è voluto disfare affidandolo ai privati a fronte certo di oneri, ma anche di entrate certe esclusive e di equity piuttosto generose rispetto al rischio dell’investimento (e sembra che siano i Concessionari ad avere fatto un grosso favore allo Stato) – in cui non esistono né il mercato né le sue ordinarie regole.

Viene fatto di pensare che un sistema in cui si concede un bene pubblico strategico al privato e lo autorizza a prelevare indiscriminatamente delle royalty da terze parti per poter esercitare attività a fronte di costi ed investimenti non fatti dal concessionario in una “riserva” avulsa dal mercato, rappresenti, anche giuridicamente, un qualcosa che definire “molto maturo” (per evitare sinonimi più rudi) è un benevolo eufemismo.

Sulla questione royalty le osservazioni presentate all’Autority dei trasporti dalle organizzazioni dei gestori (invero molto benevole rispetto al pensiero di chi scrive che non nasconde l’opinione che esse vadano semplicemente abolite, in quanto si chiedeva esse fossero “fisse e predeterminate, non soggette a rilancio né collegate al punteggio di gara, ma fissate per tratta in base a parametri predefiniti”) sono state dalla medesima Authority nettamente respinte (come, peraltro, la maggior parte delle osservazioni dei gestori).

Sulla questione dei prezzi, pur riconoscendo l’Authority che “I prezzi dei servizi disponibili nelle aree di servizio autostradali sono maggiori di quelli che l’utente troverebbe fuori dall’autostrada. Tra l’altro, questa maggiorazione è tra i motivi che hanno determinato una riduzione della quantità di carburanti erogata lungo la rete autostradale nel corso degli anni”, mancano proposte proattive soprattutto dopo l’intervento di Antitrust.

Infatti, in una prima stesura delle linee di intervento ART si prevedevano meccanismi – in realtà piuttosto farraginosi e di discutibile efficacia reale – per valutare un livello dei prezzi che non subisse più l’effetto devastante della concorrenza al di fuori del sedime autostradale in cui beni e servizi si vendono a prezzi di molto più bassi, ma l’Authority del mercato ha ritenuto che un tanto rappresentasse una forzatura non compatibile con quel mercato che in autostrada – per le ragioni più sopra spiegate – non esiste!

Se questi nodi non si affrontano, per dirla molto chiara, una via d’uscita alla crisi del comparto non ci sarà, per quanto sia già fin troppo tardi per invertire la tendenza. Non servono orpelli giuridici e cesellature burocratiche per certificare un fallimento delle scelte e delle politiche per l’autostrada in cui del bene pubblico si è fatto strame per raccogliere a piene mani per il bene privato ed in cui sub concessionari, utenti e soprattutto piccole imprese che vi lavorano sono state le vittime certe di una condotta quantomeno spregiudicata.

ANISA CONFCOMMERCIO