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NON SOLO EG E IP-SOCAR: IL 68% DEI GESTORI RIMANENTI HA ACCORDI SCADUTI (O INESISTENTI)

Pazienza se veniamo tacciati di essere “ingenui” ad accostare due questioni come la vicenda EG-Consorzio e IP-SOCAR – e abbiamo pure ben precisato che si tratta di “concomitanza di due eventi di scala e natura diversa, ma ambedue destabilizzanti del sistema delle relazioni nella filiera” -: sta di fatto che in poco più di un mese sulla rete c’è stato un giro di passaggi di mano per 3 miliardi di euro, ossia grosso modo il 30 % del valore di cessione dell’intera rete nazionale, e poco importa se si tratta di operazioni più o meno “strutturate”.

E si può anche dire che vi è pure un nesso, sia pure come effetto di ricaduta collaterale, tra i due deal: le carte aziendali di EG, che erano di IP, che, sbaraccando la rete, le ha cedute a Q8.

Ma partiamo da uno sguardo sugli assetti di marchio generali della rete.

Stando all’anagrafica degli impianti (quasi 24.200 in tutti, secondo il Dossier Prezzi giornaliero di STAFFETTA), oltre 15.800 sono correlati ai marchi petroliferi principali (ENI, IP, Q8, Tamoil e la galassia Esso, su cui si torna più avanti), ossia il 65,36 %, oltre 3.700 sono i no-logo (15,44 %); degli altri pv con marchio oltre 4.600 (19,20 %), essi sono divisi tra retisti, microretisti e monopunto: 1.692 di 12 operatori (in media 141 pv per marchio, tra cui la travagliata e – dalle informazioni che se ne hanno – “ristrutturanda” Europam, ma anche Retitalia, Energas, Keropetrol, Giap, Beyfin, Costantin, San Marco, Toil, Vega, Itala Petroli) stanno nella classe superiore a 100 impianti, 2.860 di 204 operatori (in media 14 punti vendita per marchio) nella classe da 2 a 100 impianti e, infine, vi sono 93 monopunto. Ci siamo riferiti fin qui agli impianti marchiati o non marchiati, non agli assetti di controllo e/o proprietà.

La rete ex Esso, al di là del blocco EG con quasi 1.200 impianti, era uno spezzatino diviso tra sei retisti oltre a vari convenzionati; ora che EG è stata ceduta al consorzio, il futuro ci dirà se vi sarà una ulteriore dispersione dello spezzatino, in cui operatori che hanno già altri punti vendita propri (anche con rebranding di marchi storici, come, ad esempio, la resurrezione nel 2022 di Shell, uscita dal mercato italiano nel 2014, da parte della PAD Multienergy, già nota come Petrolifera Adriatica) annetteranno alla loro rete parti del blocco EG o si manterrà un blocco unico.

In questo contesto, a prescindere dal mondo delle “pompe bianche” e limitando l’analisi per ampia approssimazione agli altri, possiamo presumere che vi siano poco più di 15.000 c.d. “gestori” a qualche titolo con in piedi un rapporto contrattuale decifrabile nei termini delle tipologie fino ad ora codificate – comodato di fornitura, commissione – da cui bisogna sottrarre quanto si dirà di seguito, mentre altre 7.800 posizioni sono, in mancanza di dati precisi, di altra natura, appaltisti (qualche migliaio dice UNEM), guardiani, irregolari, dipendenti (pochi), gestori proprietari.

Nel mondo dei marchi petroliferi i “gestori” sono circa 14.600, di cui circa 3.600/3.700 sono già inclusi nella fattispecie dell’appalto di servizi, e si può pertanto valutare grosso modo in 11.000 i gestori veri, cioè quelli codificati oggi secondo le formule tipizzate secondo le vigenti norme, cui si associano i relativi accordi economico-normativi tra associazioni dei gestori ed aziende.

Se ci si sofferma su quest’ultimo aspetto, si hanno le seguenti situazioni.

Per restare ancorati alla recentissima attualità, partiamo da IP ed EG.

IP, oltre 4.300 pv, di cui a “gestione diretta” (ossia appalto) circa 800 (18,5 %); l’ultimo accordo è quello del 22.06.2023 e scadrà il 30.06.2026, ossia tra poco più di nove mesi e dopo chiuso il passaggio a SOCAR.

EG, circa 1.200 pv; l’ultimo accordo risale al 18.04.2023 (al 01.04.2024 quello di tipizzazione del contratto di commissione), entrambi sono già scaduti il 31.12.2024.

ENI, quasi 4.600 impianti, di cui a “gestione diretta” (ossia appalto) circa 700 (15,3 %); l’ultimo accordo è quello del 07.07.2021 ed è scaduto sin dal 31.12.2023.

Q8, oltre 2.900 impianti, di cui a “gestione diretta” (ossia appalto) circa 1.400 (47,8 %); l’ultimo accordo è quello del 23.11.2022 (stessa data quello di tipizzazione commissione), entrambi sono già scaduti il 31.12.2024.

Infine, il caso cronico e incancrenito di TAMOIL, oltre 1.600 impianti, di cui a “gestione diretta” (ossia appalto) quasi 600 (36,3 %); l’ultimo accordo di cui si ha memoria risale al 01.12.2009 (ed era un accordo transitorio parziale che integrava quello del 10.03.2005!), ed è ovviamente scaduto il 31.12.2010.

Aggiungiamo, tra i retisti importanti, RETITALIA, circa 200 impianti, con un doppio accordo che risale al 2023, attivato nel 2024 ed in scadenza al 30.06.2026.

Facendo una mano di conti, il 68,1 % (ossia due terzi) dei gestori “autentici” nel mondo dei marchi petroliferi + EG) ha oggi un accordo aziendale di riferimento scaduto, mentre per il 31,9 % residuo (ossia IP) l’accordo predetto scadrà a metà 2026, con controparte SOCAR.

Può essere di conforto – in particolare riguardo alla situazione EG-Consorzio e IP-SOCAR – che, come recentemente deciso dalla Cassazione (Civile Ord. Sez. 3 Num. 21227 Anno 2025, caso PAD Multienergy SpA, soggetto del Consorzio), l’art. 2558 C.C. statuisce che “Se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della azienda stessa che non abbiano carattere personale”, ossia si conferma la validità degli accordi in essere, tuttavia questa è una situazione transitoria e temporalmente breve che non elude affatto gli scenari di gestione e contrattazione delle parti acquirenti (che siano più o meno “strutturate”), insomma siamo solo agli inizi di una fase che avrà, prevedibilmente, serie difficoltà nel proseguimento.

Più che degli accordi, dal 2023 ci si è dovuti occupare di “cartello del prezzo medio”, di “tavolo di filiera sulla riforma di settore”, di “appalto”, subendo forzature ed offensive di varia natura, e ad oggi non siamo ancora arrivati al parto del famoso DDL, che, una volta “vista la luce” (o le ombre), dovrà avere il suo doppio percorso parlamentare, che porterà via tempo, e che forse produrrà effetti di regolazione sui contratti di appalto – già conquistati dalle aziende senza alcuna contrattazione collettiva – dopo un ulteriore anno e mezzo (il che significa che, come detto più sopra, che circa 7.800 posizioni resteranno nel limbo della contrattazione anomala o abusiva).

Nel frattempo le controparti hanno avuto buon gioco nel far sparire dai tavoli il tema del rinnovo degli accordi, prendendo alibi dalla urgenza di discutere di altro o scommettendo su soluzioni normative che rendessero sorpassata o inutile la contrattazione come sin qui condotta.

Allora serve rimettere anche questo tema sul tavolo, mobilitarsi in maniera complessiva per la negoziazione degli accordi, perché ormai la questione riguarda la gran maggioranza delle gestioni chiamiamole “residue”, perché è necessario ed indispensabile superare una visione frammentata sui diversi fronti della compagnia “X” o “Y” e perché, infine, non esistono zone franche in un settore in cui si passano di mano miliardi e cospicui pezzi di rete senza che si intraveda un disegno ragionevolmente stabile per il settore che non sia solo un’operazione finanziaria del tipo “esplora, mordi, specula e fuggi.