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QUALE GESTORE PER LA MOBILITÀ DEL FUTURO – INTERVENTO DI BRUNO BEARZI

Si pubblica di seguito in forma integrale l’intervento del Presidente Nazionale FIGISC, BRUNO BEARZI, al convegno “Quale Gestore per la mobilità del futuro“, organizzato da FAIB il 13.10.2022 nell’ambito di Bologna Fiere Water&Energy Fuels Mobility:

<<Al di là del titolo del convegno, sviluppo un ragionamento che riguarda lo scenario “alto” che abbiamo davanti.

Di qui al 2035 – che, per inciso, è futuro prossimo – forse quelli che si possono definire i “decisori” si sono poco preoccupati del “frattempo.

Da qualche anno, funziona invece che una volta individuato l’obiettivo cui si tende, tutto ciò che riguarda il “prima” di quando l’obiettivo si realizzerà (per solo mero effetto dei decisori: “volere è potere”) finisce per diventare qualcosa di vecchio di cui meno si parla e di cui meno ci si occupa e meglio è.

Ed infatti, per dirla con una battuta, la prima cosa che si è fatta è mettere fuori legge le candele ancor prima di aver finito di scoprire e testare la lampadina.

In questa logica è inevitabile che non ci si preoccupi più di garantirsi un’autonomia energetica derivante da fonti “scorrette” e si finisca – lasciando andare in perenzione i propri apparati industriali come ad esempio la raffinazione, l’automotive, ecc. – per finire a dipendere da chi non mette certo in cima alle proprie priorità la tutela dell’ambiente, e/o da chi non esita a sparigliare con spregiudicatezza le presunte certezze economiche, geopolitiche od energetiche dei “buoni”.

Esempi: quanto accaduto con la ripresa, dopo la fase pandemica, sul fronte delle materie prime e dell’energia (accaparramento, speculazione), con la guerra poi e con il relativo conflitto economico su sanzioni ed uso ritorsivo delle fonti energetiche, in un contesto geopolitico estremamente volatile (si pensi alle ultime decisioni di Opec+).

Il mondo globalizzato ed interdipendente, infatti, è forse più forte in quanto governabile con regole ed interessi comuni,  ma sicuramente anche più debole, meno resiliente ai “cigni neri”, perché basta che pochi soggetti forti decidano di non stare più alle regole.

Aggiungiamoci il prevalere, nonostante tutto ciò cui stiamo assistendo in questi mesi, di una continua forte carica “ideologica” e l’assenza di una obiettività sulle fonti utilizzabili, essendo ormai assodata l’egemonia del partito degli “elettricisti, ancora una volta mettendosi nelle condizioni di dipendere non solo in parte per tutta la filiera (dal gas, alle materie rare, dalle auto finite alle colonnine) sempre da altri.

Per non dire come in questa fase, l’Europa Comunitaria, unita e ferma nel legiferare un futuro virtuosamente green, sul problema dell’emergenza energia si scopra irresoluta e disunita.

Quanto dura? Non lo sappiamo, ma le certezze granitiche sul percorso della transizione e la disinvoltura nel preoccuparsi del “frattempo” sono state scosse da una cruda realtà.

Del resto – e non eravamo ancora nel pieno della bufera – qualche tempo fa il Ministro Cingolani osservava che “la transizione potrebbe essere un bagno di sangue, mentre Claudio Spinaci puntualizzava che “quando si parla di sostenibilità non si può intenderla solo dal punto di vista ambientale, ma è necessario considerarne tutte le implicazioni. In altre parole, occorre essere chiari su come saranno distribuiti i costi di una trasformazione così radicale e su come verranno misurati i benefici dei singoli provvedimenti altrimenti si rischia di alterare gli equilibri economici e sociali del nostro continente senza produrre risultati effettivi”…

Scendendo ad un livello più prossimo al titolo del convegno, una parte importante sarà quella che riguarda la mobilità diffusa, ossia incentivi e politiche di riequilibrio fiscale.

Non è il PNRR che risolve la questione degli incentivi. Nelle mission del Piano gli obiettivi sono il potenziamento della mobilità pubblica ecosostenibile e il depotenziamento di quella privata, lo sviluppo del refuel con l’idrogeno, delle infrastrutture del recharge elettrico, l’implemento di flotte “verdi” di bus e treni, la rete ferroviaria ad alta velocità/capacità, con la medesima funzione di potenziamento della mobilità ecologica: non ci sono lì le risorse per rinnovare la mobilità privata.

Dovrà dunque essere il “mercato” a trovare le soluzioni per incentivare il rinnovamento del parco e per rendere più accessibile l’auto a minore impatto ambientale, accompagnato da un intervento pubblico di una fiscalità di favore/sfavore verso, rispettivamente, le energie più pulite e contro quelle più inquinanti, con la consueta logica del “chi più inquina, più paga”, laddove viene dato il presupposto ideologico che l’elettrico non inquina.

Insomma redistribuire il peso fiscale tra cosiddetti buoni e cattivi vuol dire trovare il modo sia di incentivare in misura massiccia la riconversione del parco, sia di garantire la cosiddetta neutralità, ossia il pareggio, diretto od indiretto delle entrate.

Vi è un progetto su questo? O trattandosi di questione che riguarda quello che abbiamo chiamato il “frattempo” è solo una questione di dettaglio?

Se dobbiamo parlare del gestore, dobbiamo accennare alla rete distributiva.

Ricordando, en passant, che nel corso di quasi cinquant’anni ci si è occupati, a sprazzi, della sua ristrutturazione ed ammodernamento (invero con scarsi risultati), è indubbio che si sia giunti alla fine di un percorso: saranno gli interessi emergenti dagli obiettivi e business della transizione, nonché la necessità di investimenti a riscriverne l’aspetto.

E se gli investimenti riguarderanno senz’altro il potenziamento dell’offerta dei prodotti previsti dalla transizione, dovranno anche sviluppare format alternativi.

Cito il rapporto di McKinsey Fuel retail in the age of new mobility: “il settore può continuare a offrire rendimenti interessanti in futuro, soprattutto attingendo a fonti di reddito aggiuntive, dal non oil alla ricarica elettrica. Per attingere a queste fonti, gli operatori dovranno ripensare le proprie strategie, sviluppare le proprie capacità e trasformare le proprie attività” .

E ancora: “Tra le tendenze del non oil, il documento individua l’aumento degli acquisti di generi alimentari in piccoli negozi locali rispetto alle grandi spese nei supermercati; l’aumento degli ordini online di cibo; l’uso di menu digitali e soluzioni di pagamento contactless nei negozi…. I distributori di carburanti dovranno prepararsi a soddisfare le nuove esigenze con nuovi modelli di business, dallo sviluppo di punti vendita multifunzione (alimentari, farmacia, servizi postali) al multibrand (partnership con aziende come McDonald’s e Starbucks)”….

Queste dovrebbero dunque essere le tendenze (invero qualche accenno in questa direzione ci è venuto da ENI – che ha evidentemente fatto tesoro delle analisi McKinsey – qualche giorno fa).

Infine, il “gestore del futuro”.

Parecchio tempo fa, ospitati sulle pagine di “Muoversi”, il magazine di UNEM, dicevamo che ancora nessuna delle aziende petrolifere ci aveva (e ci ha) spiegato se il gestore del futuro dovesse essere concepito come un soggetto che riceve e smista pacchi postali e che fa il posteggiatore delle auto che effettuano la ricarica elettrica.

Nel frattempo le cose continuano al solito, ma l’innovazione emerge, anche se ha spesso strani ed inquietanti risvolti, come le pompe che – come gli Apostoli nel Cenacolo – che parlano con il cliente tutte le lingue, incluse forse le lingue morte.

Ciò è in parte spiegabile e scusabile, perché ovviamente le aziende dovranno ancora elaborare le proprie strategie, ma la sensazione è che per loro la definizione del ruolo del gestore in tali scenari non sia rilevante.

Del resto, le grandi trasformazioni non sono mai “inclusive, nonostante oggi la “inclusività” sia un concetto culturale largamente diffuso a ragione od a torto.

Come ci stiamo attrezzando?

Le nostre Organizzazioni hanno elaborato, in più tornate, proposte di razionalizzazione della rete, con l’obiettivo non solo di ri-dimensionarla, ma anche di ripulirla dalla illegalità che da anni la va inquinando e riselezionarla su soggetti che siano in grado di investire per obiettivi di transizione. Di qui le proposte dapprima sul ripristino della concessione, poi su un rafforzamento selettivo della autorizzazione. Non sembra abbiano avuto grossi riscontri, anche se va detto che politica e Governo avevano altre grane.

Ma tutto ciò poteva andare bene per il passato prossimo e finanche per il presente, ma ora siamo di fronte all’inizio di cambiamento sostanziali su quello che è il core business probabile e futuribile della rete e degli impianti.

Se cambiano gli assi di attività rispetto al passato, il gestore tradizionalmente inteso potrà essere riconvertito così facilmente in barista, cuoco, informatico, postino e chi più ne ha più ne metta, ovvero potrà trasformarsi in un – usiamo un termine forse eccessivo – imprenditore/organizzatore di un’attività plurifunzione complessa?

Faccio una domanda forse eccessiva: quando lo sviluppo tecnologico, gli algoritmi che governano procedimenti e l’intelligenza artificiale avranno assunto un peso preponderante e renderanno obsoleti tanti ruoli e lavori, le persone che prima svolgevano tanti ruoli specifici potranno (o sarà loro consentito) convertirsi in programmatori/amministratori del proprio algoritmo e della propria tecnologia?

Per questo, senza voler essere scortese e mettere i piedi sul piatto, vorrei aggiungere un bel punto di domanda al titolo del convegno.

In sintesi: c’è ancora un futuro per il gestore così come lo intendiamo?

In ballo c’é il fatto che i cambiamenti stanno in mano a decisori che non sono il gestore, e che nel decidere scenari disegnano anche profili, ruoli e risorse umane. Bisognerà evitare, detto chiaro e tondo, che sia una macelleria sociale.

Ricordiamo anche un piccolo ed antico particolare: il gestore, nella grande maggioranza dei casi, dopo aver comperato la merce non può neppure deciderne il prezzo finale.

Ogni “buonismo” di maniera, dunque, è fuori luogo: i cambiamenti non sono sempre buoni solo perché rappresentano il “nuovo”, dipende da come ci si arriva.