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FIAMMATA DEI MERCATI INTERNAZIONALI

Nel giro di una sola settimana (dal 17 luglio a ieri) i fondamentali internazionali di mercato hanno ripreso improvvisamente quota.

Il greggio Brent è salito da 79,87 a 82,74 dollari/barile che, con un cambio deprezzato da 1,1230 a 1,1096 dollari per un euro, significa da 71,18 a 74,57 euro/barile.

Ma a correre significativamente sono state le quotazioni dei raffinati: la benzina è cresciuta da 0,587 a 0,653 euro/litro (da 873,50 a 959,25 dollari/tonnellata) ed il gasolio da 0,580 a 0,638 (da 771,00 a 838,25 dollari/tonnellata: un incremento di 0,066 euro/litro per la benzina (che con IVA diventano 0,081) e di 0,058 per il gasolio (con IVA 0,071).

Difficile che un tanto non abbia un riflesso sui prezzi alla pompa dei prossimi giorni, anche se il dato medio dei prezzi praticati segnala fino a ieri modestissimi aumenti fra 0,003 e 0,005 euro/litro, a seconda del prodotto e della modalità di rifornimento.

Le ragioni? Le spiegava, qualche giorno fa alla STAFFETTA, Salvatore Carollo: «La domanda ha raggiunto il livello di 102 milioni di barili/giorno, soprattutto per la spinta proveniente dai mercati asiatici. Il 70% di questi aumenti sono attribuiti alla Cina ed il resto diviso fra India e gli atri paesi della regione. La capacità di raffinazione operativa effettivamente utilizzata nello stesso periodo di tempo è stata pari a 82 milioni di barili/giorno, ovvero 20 milioni di barili/giorno al di sotto del livello della domanda. Il che vuol dire che parte della produzione di petrolio greggio prodotta nei campi petroliferi non è stata trasformata in tempo reale in prodotti finiti richiesti dai mercati al consumo ed è finita in parte ad aumentare il livello delle scorte viaggianti (su nave) e a terra».

Ad un tanto si aggiunga la precarietà degli approvvigionamenti per un’Europa che smantella le raffinerie, preferendo dipendere dai raffinatori di altre parti del mondo che sono in grado di centellinare e dirottare la disponibilità dei prodotti.