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LE MAFIE SONO LEADER DEL MERCATO DEI CARBURANTI

COMUNICATO STAMPA DEL 9.4.2021 – FAIB, FEGICA, FIGISC/ANISA
LE MAFIE SONO LEADER DEL MERCATO DEI CARBURANTI. OLTRE IL 30% LA QUOTA DEL MERCATO CLANDESTINO. COME SI PUO’ DESTINARE IL DENARO DEL RECOVERY FUND AD UN SETTORE CONTROLLATO DALLA CRIMINALITA’?

La fotografia più efficace e autorevole è quella “scattata” dal Dott. Sandro Raimondi, Procuratore Repubblica di Trento, nel corso dell’audizione del 5.11.2019 alla Camera dei Deputati: «Nella distribuzione carburanti c’è un ingresso incontrollato di soggetti. Il traffico illecito di prodotti petroliferi ha assunto una rilevanza estremamente pesante e pericolosa anche per il controllo da parte della criminalità organizzata. Il 30% del venduto sfugge all’imposizione fiscale per un valore di circa 10-12 miliardi di euro
Il 30% – stima prudente e ormai datata – è una quota mercato che fa dell’illegalità il market leader: l’ “operatore”, in buona sostanza, in grado di condizionare i prezzi, le scelte commerciali, gli indirizzi strategici di tutto il settore.
Solo Agip Petroli ha avuto in passato un tale ruolo, quando veniva accusata di esercitare il monopolio e controllare l’intera filiera, “dalla culla alla tomba”.
Non si tratta più solo di piccole reti di impianti utilizzate per riciclare il denaro proveniente da altri traffici illeciti. Ora il traffico illecito profittevole, il core business insomma, è proprio quello dei carburanti sottratti ad ogni tipo di controllo, resi attraenti dall’alta incidenza di accise ed IVA (circa 1€ su ognuno degli oltre 30 miliardi di litri movimentati in Italia ogni anno) che sempre più spesso riescono ad essere scippate alla collettività.
Ne consegue che l’ “influenza” della criminalità, più o meno organizzata, non riguarda solo e nemmeno tanto la proprietà diretta dei punti vendita, quanto l’importazione di prodotti finiti, lo stoccaggio primario e secondario, la logistica e, infine, l’infiltrazione nelle società proprietarie di reti, oramai quasi tutte costrette a stare “con un piede di qua e l’altro di la”, non fosse altro che per non essere “espulse” da un mercato drogato.
Ragionamento analogo può essere fatto con le società che formalmente vengono definite “gestori”, alle quali si “chiede” di offrire lo sbocco al dettaglio del prodotto clandestino.
La stessa Agenzia delle Dogane, sempre in audizione in Parlamento, ha avuto modo di evidenziare il ruolo dei numerosi soggetti che continuano a fare ingresso nel mercato in modo del tutto incontrollato, nonostante i “numeri” ne mostrino la sua teorica “saturazione”.
In Italia sono registrati oltre 23.800 punti vendita, contro i 14.400 della Germania, 11.600 della Spagna, 11.000 della Francia, 8.400 della Gran Bretagna.
L’erogato medio per impianto in Italia è di 1.367mila lt., invece dei 2.517mila in Spagna, dei 3.740mila in Germania, dei 3.894mila in Francia, dei 4.170mila in Gran Bretagna.
Oltre 1.000 le società che risultano proprietarie dei punti vendita e titolari di autorizzazione.
240 i marchi esposti sulle strade.
Di queste solo 4 sono di compagnie petrolifere integrate dopo che tutte le multinazionali (Royal Shell, Total ed Exxon Mobil) sono in pochi anni fuggite dall’Italia con i loro investimenti insieme al naturale “presidio” del territorio che solo aziende strutturate possono offrire.
Solo 9.000 punti vendita sono di proprietà di Eni, IP/Api, Q8 e Tamoil: una ulteriore consistente parte espone solo i “colori in convenzione” su impianti di altri soggetti, senza che di questo il consumatore sia minimamente consapevole.
A ciò va aggiunto, come l’assoluta mancanza di controlli sulla rispondenza alle leggi dei contratti dei Gestori, sta consentendo non solo l’affermarsi di una pratica – un vero e proprio caporalato petrolifero – che, oltre al resto, sottrae risorse ingenti anche ai contributi previdenziali e assistenziali, ma anche una progressiva quanto rapidissima diffusione di punti vendita “accoglienti” al traffico di carburanti clandestini che pure nella percezione offrono la “garanzia” di esporre marchi primari.
Appare innegabile come i risultati ottenuti dalle numerose misure “straordinarie” assunte finora – fattura elettronica, comunicazione telematica dei corrispettivi, introduzione dell’e-DAS, aumento dei controlli della GdF – mostrino tutti i loro evidenti limiti e, con ciò, la inderogabile necessità che tali misure siano urgentemente coadiuvate da strumenti che ripensino la struttura del mercato stesso, che riformino il “sistema” in origine, che consentano un efficace e risolutivo controllo ex ante e non più solo ex post.
Dalla approvazione della Risoluzione De Toma in Parlamento, votata all’unanimità da tutti i Gruppi e che impegnava il Governo ad assumere una iniziativa legislativa urgente sulla materia, offrendo delle chiarissime indicazioni finanche di dettaglio, sono ormai trascorsi 15 mesi senza che un solo provvedimento, una sola proposta, un solo dibattito, manco un “tavolo tecnico” (che pure non si nega a nessuno), sia stato neanche adombrato.
I Gestori e le loro Organizzazioni – dopo aver tentato in ogni modo e inutilmente di sollecitare e coinvolgere le altre componenti del settore ed i Ministeri competenti – non possono più rimandare il momento di esporre pubblicamente le “proprie” proposte, insieme alla denuncia dei troppi comportamenti ignavi, ipocriti, equivoci e persino, di fatto, conniventi che hanno contribuito ad inclinare il piano verso un livello di illegalità incontrollabile, ancora prima che di questa situazione ne cogliesse i frutti la criminalità organizzata.
Ciascuno – Settore, Politica e Governo – deve ORA risolvere prima di tutto i propri equivoci, affrontare le proprie deviazioni intestine ed accettare di mettere in discussione le proprie certezze.
Quale progetto che ambisca seriamente a decarbonizzare la produzione e la distribuzione di energia può fare a meno di coinvolgere nella transizione in atto la rete che oggi garantisce il carburante per l’autotrazione, per la mobilità dei cittadini ed il trasporto delle merci?
Ma, di contro, quale settore può seriamente ambire ad essere destinatario del finanziamento pubblico – compreso parte del Recovery Fund – indispensabile a questo livello di trasformazione richiesto, se il settore stesso è controllato dalle mafie?